So che questo amore è dolore ma non riusciamo a togliercelo di dosso, no... Quindi spegnerò le luci e tu chiuderai a chiave le porte, non lasceremo questa stanza finchè non romperemo gli schemi...
- 21:19:00
- By Federica R
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(Let's Hurt Tonight - OneRepublic)
La frase che mi sento dire più spesso è: "Ti avessi conosciuta prima!".
"Prima di cosa?" direte voi, mi chiedo io.
Forse, prima che qualcuno li facesse male davvero, prima che smettessero di credere in sé stessi e nell'altro, prima delle fragilità che si rivelavano, prima di essere quel che sono adesso, prima del dolore, del vuoto, della tristezza che prepotentemente arriva proprio quando non te l'aspettavi, prima di scoprire che per essere uomini bisogna anche essere bambini, ragazzi, spaventati. Prima di tutto.
Dicono così perché non lo sanno, non sanno che prima non mi avrebbero neanche notata, guardata,
pensata. Prima io non ero questa, ero un'altra, simile ma diversa da me stessa. Prima non mi avrebbero mai guardata, oppure mi avrebbero guardata e scansata, prima non avevano bisogno di sapere che qualcuno potesse accettare anche il loro dolore, prima forse manco lo sapevano di portarsene così tanto dentro.
A 24 anni posso dire di essere stata un sacco di cose e ho la possibilità e il dovere, nonché il diritto, di esserne ancora altre: amica, bambina, amante, felice, infelice, fidanzata, single, triste, speranzosa, disillusa.... Così tante cose...Una vita vissuta e con ancora tante possibilità . Forse perché non mi sono mai persa davvero nell'altro, ma non è vero manco quello. Se mi chiedessi il perché io abbia deciso di diventare un infermiera, se davvero ti rispondessi con il cuore ti direi che è perché non volevo più avere paura e perché dentro di me, in fondo in fondo, fra quelle cose che mai avrei voluto scoprire e mai avrei voluto accettare, sapevo (e so) che l'unica cosa che so fare davvero è prendermi cura dell'altro. Quei piccoli, microscopici gesti nascosti carichi di amore che anche se non sono così palesi, sono così forti da farti sentire amato. Mi prendo cura di te, perché nonostante il dolore sei altro, molto di più, non sei definito da una malattia, dalla tristezza, da un destino infausto. E anche se non sono chi vorresti di fianco, anche se non sono chi ami, io ci sono perché sei una persona con una storia e hai il diritto di non essere da solo, di non sentirti abbandonato.
Non sarà tanto, ma per me è tutto. Tutto quello che vorrei sempre aver avuto io: un appiglio, una mano pronta ad afferrarmi alla mia silenziosa richiesta di aiuto, la possibilità di non essere sola nel mio dolore, qualcuno che accogliesse la mia tristezza senza per forza capirla o negarla. Sembra così importante essere capiti, compresi, sgrovigliati dalla miriade di pensieri oscuri che popolano la nostra mente, qualcuno che armato di torcia e di coraggio venga ed esorcizzi la nostra mente negli antri più bui.
Ma io no, io non ho mai desiderato tutto ciò, io ho sempre voluto altro. Più che compresa, avrei voluto essere accettata, accolta, abbracciata in tutta me stessa, dolore ed oscurità compresi. Siamo umani, viviamo, soffriamo e ridiamo, e se qualcuno mi deve amare deve farlo bene, sapendo che tutto questo c'è, perfino il dolore che non mi definisce, ma che esiste e ogni tanto viene fuori.
"Sono triste, ma non a causa tua!", "Sono triste e per oggi va bene così perché sono anche questo, anche questo fa parte di me!".
Per me l'altro non deve essere la soluzione ad ogni cosa, ci sono delle volte che manco vorrei che l'altro si sforzasse di cercare il rimedio. Non tutto dipende da noi stessi, non tutto ha un lieto fine, alcune cose sono così perché sono così, senza colpe e senza rimedi, vanno accettate. Ma allora che può fare l'altro? Esserci, semplicemente esserci, senza troppe pretese, senza maschere, vestito dei propri limiti e delle proprie insicurezze, esserci in quanto se stesso, come persona che appieno è presente, vicino a te. E non per forza se cado devi afferrarmi se ciò fa cadere anche te e ti fa fare male, puoi anche solo esserci dopo, se hai la forza, aiutare ad alzarmi, oppure sederti dolcemente per terra sapendo che quando vuoi tu puoi risalire e riscendere senza per forza tirare di peso su anche me. Si può essere in due pure rimanendo sé stessi. Un noi sapendo che io sono io e che tu sei tu, con tutte le insicurezze, il dolore, le paure e le cose tremendamente meravigliose e belle che ci si porta appresso dal momento che si viene al mondo. E allora, non importano più le soluzioni, il cielo sereno, i viaggi distanti, allora, importa solo accettarsi e accettare, saper dire basta quando l'altro ti fa troppo male, ma prima ancora avere la forza e il coraggio di dirlo, di mostrarsi nudi e crudi per quel che si è, un po anche bambini e tremando o urlando dire " così mi fai male, così non va!". è che quando diciamo che una cosa non va, quando avvertiamo l'altro del fatto che stia mettendo il dito nella piaga, ci mostriamo per quel che realmente siamo, è come se togliessimo il beneficio del dubbio, indicando con esattezza la nostra ferita sanguinante, il punto dove la nostra vita si incrina, diamo il coltello dalla parte del manico all'altro, lo responsabilizziamo. Se io ti dico dove ho male, dove mi stai esattamente facendo male, sta a te smettere di farmelo, sta a te raccogliere la constatazione del mio dolore e finirla. Il problema è se poi l'altro non lo fa, se continua a farci male e noi rimaniamo disorientati, molto spesso permettendogli di continuare a farci male. Incolpandoci di provare dolore, sperando che l'altro smetta, chiedendosi perché non la finisca nonostante tutto. C'è sempre questa idea che dalla tristezza, dal male che proviamo dobbiamo nasconderci, ripudiarlo, sia tutto lì quello che non ci permette di essere amati. Tutte quelle fragilità che l'altro spesso ci incolpa di avere e ce le fa andare in frantumi facendoci finire per tagliarci in esse, spaventati che anche l'altro possa farcisi male. Perché abbiamo bisogno di sentirci forti, indistruttibili, pieni, come se fossero i nostri vuoti, le nostre paure, i nostri cocci rotti a far scappare l'altro, a renderci meno attraenti, meno desiderabili, meno amati.
Io, che ho amato tanto ma poche volte, io che sono io anche quando vorrei essere qualcun altro, ho sempre desiderato altro. A me vanno bene, bene le fragilità , bene le paure, bene le ferite, lo cadere a pezzi, va bene anche quello. Perché tutti abbiamo il diritto di sentire fino in fondo il nostro dolore, perché tutti siamo molto più di quello. Perché quando ci tocchiamo, ci baciamo, quando permettiamo all'altro di fondersi con noi non si può evitare e trascurare quel lato, che non è il più bello ma che c'è e prima o poi viene fuori. Perché sempre viene fuori, perché prima o poi diremo quella frase da non pronunciare o non diremo quella frase che tanto per l'altro conta, perché prima o poi non ci sarà quella carezza di cui l'altro ha tanto bisogno o ci sarà e aprirà vuoti incolmabili. Perché non siamo solo pieni, ma anche mezzi vuoti, perché non iniziamo dove inizia l'altro, ma da prima, da una vita vissuta con ferite che ci hanno fatto male e risate che ci hanno fatto battere il cuore e accorgerci di esistere. E allora, l'altro non è nient'altro per me che una persona, un compagno di viaggio: un amico, un amante, un bambino, un uomo, un infelice, uno speranzoso, un disilluso un sognatore e tante altre cose che è stato e che sarà o che forse non sarà mai ma che ha ogni diritto di desiderare e sperare.
Quindi no, non sono la persona che avrebbero voluto conoscere prima, perché ora che mi hanno davanti decidono di non volere tutto ciò. Non perché tutto ciò significhi mettersi in gioco, no, perché mettersi in gioco vuol dire ricredersi, scommettere, provarci con poca convinzione, un tentare molto spesso a perdere. No, ciò vuol dire esserci in quanto sé stessi, accettarsi.
Ma alla fine, quando siamo forti? Quando tremiamo, quando sappiamo di avere paura, quando vorremmo scappare senza motivo e rimaniamo per mille ragioni, quando rimanere sarebbe stupido e allora ce ne andiamo per un sola motivazione. Siamo forti quando siamo noi stessi, quando sappiamo che ci sono cose che ci possono uccidere dentro, ma che poi alla fine non si muore mai davvero. Allora, forse è meglio che non mi vedano, che le cose vadano così, perché non vorrei di fianco nessun'altra persona che non sia se stessa, via le maschere ancor prima dei vestiti, via quell'invincibilità che ci rende tutti terribilmente deboli, perché siamo umani e se ci facciamo male sanguiniamo, ma è proprio quello che ci rende vivi, il sangue che scorre, il sapere che nella normalità della vita non sempre si sbatte, ci si schianta, ci si ferisce e che se si è fortunati, dall'altra parte c'è qualcuno pronto con disinfettante e cerotto o anche solo un bacio o uno sguardo, pronto ad esserci come può, come sa, amandoci e amandosi, non nonostante tutto, ma proprio grazie a tutto!